sabato 25 gennaio 2014

Storia degli scavi archeologici nell'area di Falerio Picenus

I primi rinvenimenti causali nell’antico sito di Falerio Picenus vennero effettuati nella prima metà del XV secolo dall’archeologo, umanista e viaggiatore Ciriaco d’Ancona (Ancona 1391 - Cremona 1452). Alla fine del secolo successivo il cardinale Pietro Aldobrandini dette l’avvio a sistematiche ricerche antiquarie. A lui venne donata l’iscrizione (CIL IX 5420), rinvenuta nel 1595, con il rescritto di Domiziano sulla contesa tra Firmum Picenun e Falerio Picenum. Negli stessi anni vennero recuperate due statue marmoree: un togato e una Demetra/Cerere, nelle vicinanze di una serie di rovine, allora attribuite al campidoglio di Falerio Picenus, nelle quali è stato poi riconosciuto un edificio termale.
I reperti vennero dapprima sistemati sulla facciata del Palazzo comunale, per poi passare nel Museo archeologico di Falerone, dove sono tuttora conservati.
Non documentata è la notizia di altri scavi archeologici effettuati nel 1774 sotto papa Clemente XIV nei pressi dell’area del teatro.
Nella 1777, per volere di papa Pio VI, iniziò un’intensa attività di scavo che interessò il teatro e un impianto termale. La campagna, diretta dall’intendente pontificio Venceslao Pezolli da Spoleto, venne documentata dal notaio faleronese Barnaba Agabiti in un manoscritto conservato nella Biblioteca civica “Romolo Spezioli”, pubblicato a cura di Pompilio Bonvicini  (Ascoli Piceno, 1911 – Fermo, 1990), solo nel 1971. 
Sempre nel 1777 vennero alla luce i resti di un impianto termale, con diversi ambienti arricchiti da vari frammenti di mosaici pavimentali. In un ambiente venne rinvenuto un pannello a mosaico policromo con la raffigurazione di quella che venne identificata in una pantera (in realtà un leopardo), parte di un pavimento musivo con varie figure: un leone, un centauro con la lira in mano in atto di ballare, una capra e una tigre.
Sempre durante quegli scavi, nei terreni del monastero di San Pietro Apostolo, venne rinvenuta una stadera in metallo e un candelabro di cristallo di rocca con l’anima in metallo.
Tutti i reperti verranno portati, dove sono tuttora conservati, nei Musei Vaticani. Due iscrizioni, insieme al frammento di mosaico raffigurante il leopardo, furono i primi materiali ad essere inviati a Roma come dono per papa Pio VI.
Nuovi scavi vennero effettuati nel 1836 da Raffaele, Gaetano e Vincenzo De Minicis all’interno del teatro romano, senza però l’autorizzazione delle autorità pontificie, che disposero il sequestro dei reperti ritrovati, in base all’editto emanato nel 1820 del cardinal carmelengo Bartolomeo Pacca, il primo provvedimento legislativo di protezione per i beni archeologici ed artistici dello Stato della Chiesa. I reperti vennero sequestrati a domicilio, con l’ingiunzione di essere sempre a disposizione dell’autorità governativa. I De Minicis riuscirono però ad evitare il sequestro con la promessa di erigere un museo presso il teatro romano di Falerio Picenus. Ciò fu osservato solo in parte, in quanto la raccolta archeologica venne realizzata a Fermo, presso la casa della famiglia De Minicis, allora in via dell’Anfiteatro antico.
Il Giornale degli Scavi, pubblicato solo nel 1971, è conservato manoscritto nella Biblioteca civica “Romolo Spezioli”. Nel 1836, nel vomitorio occidentale, venne alla luce un torso marmoreo del tipo Zeus Aigiochos (età claudia), raffigurante una divinità maschile, giovane e nuda, con l’egida giovia pendente dalla spalla sinistra. Il torso, nel 1893 segnalato a Roma presso l’antiquario Innocenti di via del Babbuino, venne acquistato nel 1919 dal collezionista francese Demotte, che lo cedette al Musée du Louvre. Acefalo e privo delle braccia, sulla spalla sinistra è appoggiata l’egida che ricade lungo il fianco della statua e mostra, al centro, il gorgoneion. La statua conserva la gamba destra fino al ginocchio e una piccola parte di quella sinistra. Sulla coscia destra rimane parte di un tronco di palma che serviva da sostegno alla statua. Vicino al torso venne rinvenuta una statua acefala di Demetra/Cerere (Falerone, Museo archeologico "Pompilio Bonvicini") gemina di quella recuperata nel xvi secolo. Sempre durante quegli scavi venne recuperata una statua marmorea acefala di divinità femminile con elmo sotto il piede sinistro, interpretata come Venere del tipo Capua (prima metà II secolo d.C.), con lungo chitone manicato, stretto al di sotto dei seni da una cintura. Dal 1893, probabilmente a seguito di un analogo acquisto sul mercato antiquario romano, entrata nelle collezioni del Louvre.
Nel 1871 la collezione De Minicis venne smembrata. Parte né acquistò il comune di Fermo, parte venne restituita a Falerone. Purtroppo altri materiali andarono dispersi nel mercato antiquario.
Sono documenti altri ritrovamenti, fortuiti, frammentari e limitati, nel 1891, 1903, 1904, 1921, 1922, 1925, 1942 e 1958. Nel 1965 una regolare campagna di scavo fu condotta dalla Soprintendenza Archeologica delle Marche nell’area della necropoli orientale. Nel 1967-68   Pompilio Bonvicini condusse degli scavi. Ultimi ritrovamenti sono del 1974.
La documentazione archeologica, pertinente all’antica colonia romana, è ora conservata in varie collezioni pubbliche, come a Fermo (in deposito presso il Palazzo dei Priori), a Parigi (Musée du Louvre), a Roma (Musei Vaticani), ad Ascoli Piceno (Museo archeologico statale), ad Ancona (Museo archeologico nazionale delle Marche), a Bologna (Museo civico archeologico) e a Genova (Castello Mackenzie).