martedì 14 gennaio 2014

Breve storia di Altidona

Una cisterna in opus caementicium, in contrada Aprutina, era probabilmente un serbatoio per l’approvvigionamento idrico di una delle tante ville romane del territorio comunale. Da una di queste, pensiamo, proveniva la statua di Asclepio rivenuta nel 1900 ad Altidona, finita poi sul mercato antiquario.
Nel 1969 venne recuperata una fila di anfore del tipo Dressel 6A «picene» (seconda metà i secolo a.C.), non lontano dai resti di una fornace. Nel 1980 vennero ritrovati alcuni frammenti di anfore, bollati sul collo: barbul(ae) / c(ai) iul(i) pol(---). Il nome Barbula fa riferimento al dominus del fundus o praedium Barbulanum, che poi passò al castrum Barbulanum o Barvulanum, demolito entro la fine del XIII secolo. Gaio Giulio Pollio era l’officinator al quale era stata affidata la conduzione della fabbrica di anfore.
Il castrum di Altidona doveva essere stato realizzato entro l’inizio del XIII secolo, dal momento che nel 1214 il marchese della Marca di Ancona Aldobrandino d’Este lo cedette a Fermo, insieme ai diritti signorili sul castrum di Barbolano, anche se formalmente, quest’ultimo, apparteneva al monastero benedettino di Montecassino, a cui era stato donato nel 1032 da Ramberga, badessa del monastero di Leveriano iuxta flumen Aso. Barbolano andò presto demolito.
Nel 1808 gli Altidonesi insorsero contro le truppe francesi. Saputa la notizia a Fermo, capoluogo «del Dipartimento del Tronto, incontanente si staccò da essa un corpo di Soldatesca, che piombando il giorno appresso sopra il Castello di Altidona, gli diede un sacco lagrimevole». Così leggiamo nel Plinio seniore illustrato nella descrizione del Piceno di Antonio Brandimarte, stampato nel 1815.